(di Franca Maria Vanni) Il granducato di Toscana è il primo tra gli antichi stati italiani ad aver dato corso ad una circolazione monetaria cartacea rappresentata da biglietti al portatore, garantiti dallo stato e rimborsabili a vista in moneta metallica con potere liberatorio per qualsiasi pagamento. Quando Ludovico Borbone Parma divenne re d’Etruria e assunse il governo della Toscana, il disavanzo dello Stato era salito a 140 milioni di lire toscane con la conseguenza che egli fu costretto a ricorrere a prestiti privati per la conduzione dello Stato. Tale ingente richiesta di capitali spinse mercanti e banchiere fiorentini a consorziarsi per proporre la creazione di un Istituto di Sconto al quale imprenditori ed artigiani potessero rivolgersi per ottenere in maniera celere la disponibilità delle somme di denaro necessarie per sostenere o ingrandire la propria attività.

Già nel 1802 Ludovico di Borbone si era mostrato interessato alla proposta di due commercianti, Federico Fenzi e Antonio Sala, di istituire a Firenze una Cassa di Sconto, su modello di quella francese, con facoltà di emettere propri biglietti con garanzia giuridica. La mancata corresponsione di un grosso prestito fatto dalla Casa Fenzi al Governo per la contribuzione di 2.000.000 di franchi imposta dai Francesi e la prematura morte del Fenzi portarono alla chiusura della casa e interruppero il progetto di creazione della Cassa.

F. X. Fabre. La famiglia del re d’Etruria

J. Dorffmeister, Ritratto di Ferdinando III d’Asburgo,

Il congresso di Vienna reintegrò sul trono del Granducato Ferdinando III d’Asburgo Lorena. Questi si impegnò a prendere provvedimenti economici per lo Stato valutando la possibilità di istituire a Firenze una Cassa di Sconto che venne creata con motuproprio del 31 dicembre 1816 a seguito dell’approvazione del progetto inviato al ministro Neri Corsini dal commerciante Giuseppe Salucci[1].

Il capitale da sottoscriversi era di 2.800.000 lire toscane divise in 5600 azioni da 500 lire ciascuna. Il valore troppo alto delle quote limitò il numero dei sottoscrittori e così la costituenda Cassa di Sconto poté contare su un capitale iniziale di sole 120.000 lire toscane versato interamente dal governo granducale[2]. Tra le operazioni che la banca avrebbe dovuto effettuare vi era anche l’emissione di biglietti per un ammontare pari a 1.719.000 lire toscane[3].

Questa casa bancaria ebbe un momento di grave crisi quando concesse un credito di 840.000 toscane (quasi l’intero movimento di esercizio della banca) alla casa di commercio Dupouy e Buccellato.

Il fallimento di quest’ultima compromise l’esistenza della banca che non venne posta in stralcio solo per l’intervento del governo. La Cassa di Sconto di Firenze fece due emissioni di biglietti.

La prima, provvisoria, rimase in circolazione dal gennaio al maggio del 1817; i tagli avevano tutti la medesima tipologia, come il formato e la stampa.

A causa dell’impiego di una carta troppo spessa che impediva la visibilità della filigrana, allora unico espediente per verificare la genuinità dei biglietti, questi vennero sostituiti da una seconda emissione entrata in circolazione nel 1817. Secondo i verbali della Cassa, i biglietti provvisori in circolazione vennero ritirati e bruciati unitamente agli strumenti per la fabbricazione della carta filigranata, alle giacenze in officina e alle matrici per la stampa[4]. Nel 2003 è stata rinvenuta nell’archivio di una famiglia nobile toscana la serie completa dei biglietti definitivi (Fig.1).

Fig. 1 – Biglietto da £ 1.000 della cassa di Sconto di Firenze, Collezione Privata.

P. Benvenuti, Ritratto di Leopoldo II d’Asburgo Lorena, 1828

Essi, che presentavano la stessa tipologia per ogni taglio, erano stampati unilateralmente su carta bianca filigranata recante al centro un ovale con cassa di sconto e sotto il valore. Nell’ovale centrale al margine della matrice una formella entro la quale cassa di sconto.

Nell’ovale superiore i biglietti da mettere in circolazione presentavano l’impronta del bollo a secco raffigurante un leone in attacco unito alla legenda cassa di sconto, in quello inferiore l’impronta a tampone con l’immagine di Mercurio intorno al quale commercio toscano. I tagli emessi erano 100, 200, 300, 500 e 1000 di lire toscane[5].La gestione amministrativa della Cassa di Sconto non rispose alle aspettative del governo e nemmeno della popolazione; in seguito alla concessione di ingenti prestiti a commercianti fiorentini poi insolventi, nel 1826 venne posta in stralcio.

Nel 1824, alla morte di Ferdinando III, assurse al trono il figlio Leopoldo II.

Dando prova di saggezza costui mantenne gli incarichi a molti dei ministri nominati dal padre; tra questi Vittorio Fossombroni che mantenne il Ministero degli Esteri.

Eccellente economista, il Fossombroni si adoperò perché la Cassa di Sconto venisse trasformata nella Banca di Sconto di Firenze che iniziò la sua attività il 1 gennaio 1827 con un capitale di 1.000.000 di lire toscane.

Il capitale era suddiviso in azioni da 1.000 ciascuna, delle quali 250 sottoscritte dall’Erario e 750 suddivise tra privati[6].

I biglietti erano garantiti dalla Regia Depositeria di Sua Altezza Reale, che era l’organo adibito a raccogliere le monete in argento di alto titolo per la conversione; i diversi nominali venivano cambiati dalla zecca con francesconi da 10 paoli[7]; per questo tali banconote vennero nominate fogli di zecca.

Delle emissioni prodotte da questa banca fino ad oggi non è stato ritracciato nessun esemplare; nemmeno la scarsa documentazione rimasta descrive il loro aspetto; sappiamo solo che erano stampati su carta bianca filigranata sulla quale era segnato il valore corrispondente al taglio e che per esser validi dovevano avere 2 bolli, uno a secco, l’altro ad impronta.

Nel 1847 il governo provvisorio della Toscana dispose il ritiro di parte dei tagli da 1.000 lire perché fossero sostituiti con biglietti di valore inferiore; in quest’occasione la banca provvide alla quarta emissione della quale sono noti la descrizione dei due bolli: il primo rappresentava un leone seduto con la cifra 1847 e intorno banca di sconto di firenze, quello a tampone un giglio.

Anche a Livorno nello stesso anno venne presentato un progetto per la creazione di un istituto con diritto di emissione. In età napoleonica il porto di Livorno aveva subito una forte diminuzione di traffico perché i Francesi dirottavano a Tolone e a Marsiglia parte del traffico marittimo che prima gravitava su questa città[8]. Nonostante ciò, il porto di Livorno riuscì a mantenere il ruolo di scalo commerciale internazionale grazie anche alla comunità ebraica che favorì lo sviluppo delle attività industriali, insediatisi nelle area a nord della città, vicino al porto. Nel 1815 l’imprenditore francese Pietro Senn ed il commerciante Giuseppe Guilbert presentarono alla locale Camera di Commercio un progetto per la creazione di una Banca di Sconto con diritto di emissione fino ad un tetto di 300.000 lire. Nonostante l’evidente necessità della presenza nella città di un istituto bancario con tali caratteristiche, vi erano troppi e diversi interessi perché questo potesse essere creato. Da un lato i piccoli commercianti temevano che una banca con azioni in mano a imprenditori e banchieri con vasto giro di affari avrebbe portato ad un rialzo dei tassi di interesse, dall’altro le banche private temevano gli effetti della concorrenza di una istituto creditizio statale. Questo progetto perciò venne bocciato dalla Camera di Commercio[9].

Nel 1830 vennero scoperti nel sottosuolo toscano dei giacimenti ferrosi. La forte richiesta di metalli alimentata dalle nascenti attività industriali e gli investimenti nella produzione di macchinari e di strade ferrate spinse il ceto più abbiente a dirottare verso questi settori i propri interessi. A seguito di ciò divenne ancora più urgente l’apertura a Livorno di un ente di sconto che garantisse un costo del denaro costante al 5%. Dopo il fallimento di altri due progetti, finalmente nel 1836 venne decisa la creazione di una Cassa di Sconto a Livorno[10] dietro progetto di Giovan Goffredo Ulrich.  La vendita della azioni fu così corposa che sette ore dopo l’apertura delle sottoscrizioni per la fondazione dell’istituto, la richiesta di azioni era maggiore dell’offerta. Divennero azionisti le più importanti ditte livornesi quali i Bastogi e gli Adami[11].

Questa famiglia fin dal 1832 esercitava a Livorno l’attività di cambiavalute e di credito per il commercio locale.  Poiché l’attività intrapresa era fiorente, nel 1859, Pietro Augusto Adami insieme al padre David trasformò la ditta in una società in accomandita con la ragione sociale Banca P.D. Adami avente un capitale di 2.000.000 di lire suddivise in azioni da 1.000 lire ciascuna.

L’articolo 4 dello statuto prevedeva anche l’emissione di biglietti bancari al portatore nei tagli da 1000, 500, 300, 200, 100. Non sappiamo se tutti i tagli vennero effettivamente messi in circolazione; allo stato attuale delle ricerche sono noti solo i valori da 500 e da 100 lire (Fig. 2), ambedue con la data 1 marzo 1859.

Fig. 2 – I tagli da 100 e 500 lire della Banca Adami, Collezione UBIBanca, Arezzo.

I tagli, convertibili in moneta metallica, erano stampati su carta pergamena color paglierino sulla quale era sovrastampata la scritta puntinata banca adami e c seguita dal valore, e presentavano le firme manoscritte del cassiere, dei gestori e dei gerenti. Sulla matrice banca adami e c in corsivo su fondo scuro a fitte linee orizzontali. I biglietti recano al centro un timbro a secco ovale, con al centro d p a e c e intorno david pietro adami livorno (il timbro è ben visibile alla Fig. 3). Sul rovescio due timbri circolari neri: uno con il giglio fiorentino intorno al quale da lire una a l.e mille e entro targa T.10, l’altro con una figura femminile seduta a sinistra che tiene nelle mani una cornucopia e un caduceo accompagnata dalla legenda carta granducale[12].

Fig. 3 – Il rovescio del taglio da 100 lire, Collezione UBIBanca, Arezzo.[/caption]

Tra gli azionisti della Banca di Sconto di Livorno figuravano non solo esponenti locali ma anche banchieri esteri quali Eynard o Hottinguer i quali, non essendoci un limite massino azionario, acquistavano le quote per poi cederle a terzi. La Cassa aveva durata 20 anni e un capitale di 2.000.000 di lire toscane diviso in azioni trasferibili per girata delle quali solo 50 sottoscritte dallo Stato. La banca aveva facoltà di emettere biglietti a corso libero, circoscritto però alla sola Livorno.

L’assenza di una copertura legale alla circolazione costrinse la banca a legare il proprio plafond ad una riserva di circa 2.000.000 di lire toscane.

Nel 1840 la direzione della banca richiese autorizzazione per sopprimere i tagli da 2000 e 300 lire sostituendoli con due ulteriori serie di biglietti da 100 e da 40 lire. La massa cartacea circolante si ampliò nel 1847 a seguito dell’emissione di buoni ipotecari fruttiferi da parte del governo che necessitava di liquidità. La banca aveva investito parecchi fondi nella sottoscrizione dei buoni riducendo la copertura dei propri biglietti in circolazione con la conseguenza che il governo, su proposta del ministro Adami, deliberò il corso forzoso dei biglietti di questo istituto eccetto il taglio da 200 lire. I rapporti della banca giunti fino a noi testimoniano che essa venne posta in stralcio nel 1858 con conseguente abbruciamento dei biglietti.  Da tali documenti sappiamo che venne effettuata un’unica emissione, datata 1 giugno 1837; Gamberini di Scarfea segnala anche un’emissione nel 1853 ma questa, pur essendo approvata, non ebbe mai luogo[13].

I risultati ottenuti dalle due Casse di Sconto di Firenze e Livorno provocarono l’imitazione di questo modello bancario anche in altre città toscane.

Nei primi anni del XIX secolo anche a Siena per soddisfare le richieste del ceto commerciale si era resa necessaria l’apertura di una istituzione creditizia che praticasse sia lo sconto cambiario che le anticipazioni garantite da pegni di mercanzie.  La sua creazione nel 1841 fu opera del governatore di Siena Luigi Serristori[14] su richiesta di un gruppo di commercianti quali Leonida Landucci, Policarpo Bandini e Giulio Puccioni. Prima dell’istituzione di questa casa bancaria a Siena il credito commerciale era praticato da 5 banchi privati: quello di Castelli, Crocini, De Metz, Servadio e Mugnaini, che, avendo un’attività sia bancaria che commerciale[15], non riuscivano a soddisfare le richieste di ingenti capitali, pertanto gli imprenditori che necessitavano di crediti consistenti erano costretti a ricorrere agli usurai.

La Cassa di Siena ebbe un capitale di 150.000 lire toscane divise in azioni da 2.000 lire ciascuna; aveva facoltà di emettere biglietti fino ad un ammontare doppio del medesimo capitale. L’emissione dei biglietti per circa un decennio risultò quasi sterile perché appena emessi venivano immediatamente presentati per la conversione in moneta metallica. I tagli emessi vennero allora rimpiazzati da Buoni di Cassa scambiabili per semplice girata e destinati a rappresentare i depositi effettuati presso la Cassa di Sconto. Tra le attività della banca figurava anche la compravendita di monete metalliche.

La banca emise biglietti per un ammontare di 150.000 lire toscane negli tagli da 200 a 2.000 lire che non riscossero il favore dei senesi. Per rispondere più appropriatamente alle esigenze del commercio locale nel 1851 la banca decise il ritiro dei biglietti da 2000 lire toscane che vennero sostituti con il taglio da 200 lire.

Cinque anni più tardi a Pisa, dove si era trasferito Luigi Serristori a causa di incomprensioni con il ceto dirigente senese, venne aperta una Cassa di Sconto. In questa città lo sviluppo culturale e tecnologico favorito dagli studi universitari, aveva dato luogo all’apertura di manifatture con tecniche produttive all’avanguardia tra cui quelle della seta, dei cappelli e delle concerie. Tanto fervore economico non era però sostenuto dalla possibilità di accedere al credito fondiario consistente nella concessione da parte di istituti bancari di finanziamenti a medio e lungo termine perché nella città non esistevano appositi istituti di credito ma solo due “cambisti” Pietro Faller e la Casa Misoch. Nello stesso anno (1846) il Ridolfi aveva creato la Società Mineralogica per finanziare l’escavazione e lo sfruttamento di alcuni terreni ramiferi nei Monti di Castellina Marittima e nei Monti Rognosi nel territorio di Anghiari in provincia di Arezzo che presentavano gli stessi caratteri geologici della già sfruttata miniera di Montecatini. Il marchese di Meleto preparò il manifesto con gli intenti e la struttura giuridica. La Società Mineralogica aveva un capitale di 1.000.000 ripartito in azioni da 500 lire[16].

Serristori si adoperò per la creazione di una Cassa di Sconto da un lato per favorire l’industria e il commercio pisano dall’altro per mettere a disposizione della Società mineralogia un istituto in cui depositare le somme incassate ottenendo un usufrutto del 4 e 1/2 %.

La banca di Pisa era autorizzata ad emettere biglietti negli tagli da 50, 100, 200, 300, 500 e 1.000 lire[17].

I biglietti erano numerati, presentavano due bolli, uno a secco l’altro a tampone, e le firme del presidente del Consiglio Direttivo, del Direttore Emilio Frizzi e del Cassiere.

I biglietti della Cassa di sconto di Pisa ebbero una circolazione limitata all’ambito locale. Secondo Gamberini di Scarfea la banca fece un’unica emissione, ma dal bilancio dal 31 dicembre 1854 risulta che vennero impiegate 100.000 lire toscane per una seconda emissione di biglietti atti a sostituire di quelli laceri della prima. Sembra pertanto che siano state fatte effettivamente due emissioni, anche se con la stessa tipologia.

Contemporanea all’apertura della Cassa di Sconto Pisa, è la creazione anche ad Arezzo di una Banca di Sconto con rescritto del 27 aprile 1846[18]. Lo statuto conteneva le stesse disposizioni dell’Istituto di Siena riguardo alla composizione degli organi direttivi e delle operazioni consentite. Il capitale era stato fissato a 150.000 lire toscane, ma la sottoscrizione non riuscì a superare le 120.000 lire. Subito dopo la Restaurazione lorenese le difficoltà del contesto produttivo aretino si erano aggravate; se si eccettuano i prodotti agricoli l’economia aretina si basava sui prodotti di un lanificio che riforniva di uniformi le milizie toscane, una delle aziende più importanti del territorio aretino fino al 1858[19], delle fornaci per mattoni e stoviglie e di una cereria.

Presidente e vicepresidente della Cassa di sconto erano Giovan Battista Occhini, gonfaloniere di Arezzo, e Achille Albergotti i cui nomi comparivano nella lista degli azionisti della Società Mineralogica avviata dal Ridolfi nel 1846. Come per Pisa anche le somme raccolte dalle vendita delle azioni nel territorio aretino venivano depositate nella Cassa di Sconto locale.

Del consiglio di amministrazione faceva parte anche il commerciante Giovanni Passagli [20] anch’esso azionista della Società Mineralogica per la quale acquistò, nel 1846, con i fondi ricevuti dalla banca i terreni da sottoporre ad escavazione nei monti Rognosi per l’estrazione del rame. La banca aretina ebbe facoltà di emissione di biglietti per un valore di 100.000 lire toscane. I tagli emessi furono da 1000, 500, 300, 100. I biglietti avevano un numero progressivo e recavano due bolli uno a secco, l’altro a tampone; portavano le firme del presidente del Consiglio Direttivo, David Mori, del Direttore Matteo Nencini e del Cassiere Caponsacchi. I biglietti venivano consegnati al cassiere nel quantitativo necessario al fabbisogno. Tale provvedimento era motivato dalla necessità che i biglietti in circolazione non venissero immediatamente cambiati in moneta metallica. La banca aretina emise biglietti per un ammontare di 55.000 lire toscane che ebbero circolazione per lo più locale. Secondo le disposizioni statutarie una volta utilizzati i rami per l’emissione questi venivano fusi, e la carta utilizzata per la stampa, distrutta. La Banca ebbe anche facoltà di emettere Buoni di Cassa pagabili al portatore all’ interesse dal 3 al 4 per cento[21].

Nel maggio del 1849 in occasione del transito in Arezzo delle truppe austriache destinate ad occupare la Toscana per riportare l’ordine dopo i fatti rivoluzionari, l’amministrazione cittadina per sostenere le spese del loro mantenimento, contrasse un prestito di 40.000 lire con la Cassa di Sconto locale che si tradusse in una perdita quasi totale per la banca perché la somma fu restituita soltanto in minima parte[22].

Già durante il principato di Elisa e Felice Baciocchi era stato fatto un tentativo per fondare a Lucca una banca con diritto di emissione sul modello francese[23]. Non sappiamo quale capitale iniziale fosse stato stabilito, quello che è certo è che vi fu una compartecipazione del Monte di Pietà locale come attesta la sua denominazione scritta sulla matrice di un esemplare del biglietto da 30 lire (Fig. 5).

Fig. 4 – Un’azione della Società Mineralogica

Fig. 5 – Il biglietto da 30 lire della Banca di Lucca (da Crapanzano 2010).

La stampa dei biglietti venne effettuata dalla ditta francese Didot mentre Bertrand Andrieu, che lavorava per la zecca parigina, incise il timbro a secco di convalida. La caduta di Napoleone e la partenza da Lucca dei principi Baciocchi non consenti la creazione della banca e la messa in circolazione dei biglietti che, ritrovati nelle stanze dei principi al palazzo ducale, vennero bruciati. Ad oggi sono noti due esemplari da trenta lire e sette esemplari del taglio da sette lire e dieci soldi (Fig. 7), taglio anomalo ma che corrispondeva esattamente al valore dello scudo lucchese ancora in uso per il commercio locale.

Fig. 7 – I tagli non emessi della Banca di Lucca

Pertanto nella prima metà del XIX secolo a Lucca, mancando un Istituto di Sconto, l’attività di credito mercantile era esercitata da due banchi locali Giuseppe Francesconi e Cosimo Giorgetti.

Solo nel 1850, in seguito ad una richiesta presentata due anno prima da un ristretto numero di commercianti locali[24], anche a Lucca entrò in attività una Banca di Sconto[25]. Tra i titolari dei principali pacchetti azionari c’era Antonio Marracci che rimase direttore della banca per tutta la sua vita.

Il capitale iniziale fu fissato a 150.000 francesconi che equivalevano a 278.000 lire toscane; esso era diviso in azioni al portatore da 50 francesconi ciascuna, fatto originale rispetto agli altri istituti toscani. Alla banca era riconosciuta la facoltà di emettere biglietti dei quali il taglio massimo era da 100 francesconi ed il minimo da 5. I biglietti erano corredati da 5 firme e recano due bolli: quello a secco raffigurante San Martino a cavallo e uno a tampone con l’immagine della pantera, ambedue emblemi di Lucca. Purtroppo anche di questa banca non è giunto fino a noi nessun biglietto.

La circolazione fu limitata all’ambito cittadino perché la popolazione non accettava i biglietti che venivano cambiati in moneta metallica appena entrati in circolazione. Nel 1855, a seguito di una ispezione amministrativa, emerse la criticabile gestione del direttore Marcacci che con il suo operato aveva impedito alla banca di incidere sul tessuto economico locale portandola quasi al fallimento, che venne scongiurato solo per diretto intervento di Leopoldo II.

Alla luce di quanto appena esposto, a metà del XIX secolo nel Granducato di Toscana circolava una grande quantità e varietà di biglietti di banca che lo ponevano al primo posto nella penisola per l’ammontare globale di capitale emesso in azioni che risultava difficilmente controllabile per la mancanza di una vera e propria borsa valori. In quegli anni operavano nel suddetto territorio sei banche autorizzate all’emissione di cartamoneta. Ognuna di esse agiva in ambito locale ed in modo autonomo; non essendoci corrispondenza tra gli istituti, ciascuna banca rifiutava i biglietti delle altre.

Visti i risultati ottenuti nel Regno di Sardegna dove l‘emissione di cartamoneta era stata affidata ad un unico istituto, i cui biglietti erano convertibili in tutto il territorio, il governo del Granducato progettò di unificare le banche di sconto di Firenze e di Livorno. Progetto di non facile attuazione per il diverso indirizzo dato agli investimenti: Firenze privilegiava la piccola industria e il commercio locale, Livorno il finanziamento a grosse imprese.  Dopo lunghe trattative con i due istituti interessati venne creata la Banca Nazionale Toscana (decreto del 8 luglio 1857)[26] e decretata la contemporanea cessazione di attività delle banche di Firenze e Livorno. Il capitale iniziale di 8.000.000 di lire italiane venne diviso in 8.000 quote da 1000 lire ciascuna riservate agli azionisti delle banche di Firenze e Livorno; 250 azioni vennero acquistate dal Governo. Tra i promotori della banca sono da ricordare Pietro Adami, Carlo Fenzi Presidente della Camera di Commercio di Firenze e Pietro Bastogi Presidente della Camera di Commercio di Livorno. La banca aveva la sede in piazza d’Arno nel palazzo dove anticamente sorgeva un antico tiratoio.

La prima serie di banconote venne messa in circolazione nel 1859; i biglietti avevano come base il taglio metallico del francescone equivalente a 5,60 lire. L’anno successivo vennero assorbite le banche di Siena, Pisa, Lucca ed Arezzo che vennero trasformate in succursali della Banca Nazionale Toscana. A queste filiali fece seguito nel 1864 l’apertura di altre succursali a Pistoia e a Perugia. L’avvento dell’Unità d’Italia non sconvolse l’attività della banca né la circolazione delle sue banconote, nonostante l’incertezza dei tempi che aveva attivato la corsa alla moneta metallica pregiata. Con la proclamazione del regno d’Italia venne adottato il sistema monetario del Piemonte e pertanto le emissioni della Banca Nazionale Toscana furono conteggiate in lire italiane. Queste erano stampate su carta pergamena di diverso colore a seconda del valore recante in filigrana banca nazionale toscana.

Con decreto del 1866 la banca veniva autorizzata ad emettere banconote da 50 e 20 lire contro il ritiro di pari ammontare in biglietti da 1000.   Fino al 1869 i biglietti della Banca Nazionale Toscana ebbero la stampa unifacciale, successivamente i tagli vennero sostituiti da esemplari stampati su ambo le facce.

Per evitare falsificazioni già allora riscontrate in circolazione, dal momento che in Italia non esisteva un’azienda specializzata nella produzione di banconote, la Banca Nazionale Toscana decise di far realizzare le proprie banconote dalla ditta Bradbury Wilkinson di Londra che creò e stampò tutti i biglietti dopo il 1868.

Fig. 8 – I tagli da 50 e da 100 lire della Banca Nazionale Toscana, Collezione UBIBanca, Arezzo

Fig.9  -Il taglio da Venti con Annullato Pistoia, Collezione Privata

Il taglio da 20 lire (Fig. 9), realizzato da una tipografia fiorentina, fu ampliamente falsificato. Recentemente sono apparsi sul mercato biglietti falsi con il timbro annullato Pistoia. Gli esemplari provengono dagli archivi del tribunale di Pistoia città dove allora era in attività un ditta specializzata nella produzione di carta filigranata perfettamente contraffatta.

Fig. 10 -I tagli da 50 centesimi e 1 lira della banca nazionale Toscana, Collezione UBIBanca, Arezzo

Nel 1873 la Banca Nazionale Toscana venne infine autorizzata a mettere in circolazione anche biglietti di piccolo taglio nei valori di 0, 50, 1 lira, 2, 5 e 10 lire (Fig. 10).

Nell’aprile del 1989 venne posta in asta nella casa Kunst Münzen una prova di stampa del taglio da 1 lira dell’emissione del 1873 che prevedeva una tipologia simile ai tagli da 10, 5 e 2 lire recanti il busto di Dante nell’ovale a sinistra; per ragioni che non è dato sapere il progetto iniziale fu poi modificato adottando la tipologia nota.

Fig.11- Il Taglio da 25 della Banca Nazionale Toscana decreto 1883 ma emessa nel 1891, Collezione UBIBanca, Arezzo.

Nel 1873 la Banca Nazionale Toscana venne infine autorizzata a mettere in circolazione anche biglietti di piccolo taglio nei valori di 0, 50, 1 lira, 2, 5 e 10 lire (Fig. 10).

Nell’aprile del 1989 venne posta in asta nella casa Kunst Münzen una prova di stampa del taglio da 1 lira dell’emissione del 1873 che prevedeva una tipologia simile ai tagli da 10, 5 e 2 lire recanti il busto di Dante nell’ovale a sinistra; per ragioni che non è dato sapere il progetto iniziale fu poi modificato adottando la tipologia nota.

BIBLIOGRAFIA

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NOTE

[1] Leggi del Granducato di Toscana dal 1 luglio 1816, Firenze, 1816, II, pp. 187-191

[2] Sui caratteri e l’attività di questa cassa bancaria cfr. Volpi 1997, pp. 31- 50.

[3] VOLPI 1997, p. 31, nota 7.

[4] Sulle emissioni di questa casa bancaria cfr. G. Crapanzano, vol. II, pp.221-224.

[5] Questo nominale fu la moneta in circolazione nel granducato fino all’annessione alla Francia napoleonica nel 1807.   Dopo questa data rimase in circolazione, grazie al suo contenuto d’argento, fino al 1826.

[6] CRAPANZANO 2010, p. 230.

[7] Il francescone è una moneta d’argento emessa per la prima volta da Francesco I che nel 1737 successe a Gian Gastone, ultimo dei Medici. Questa moneta portava la scritta PISIS perché fin dal 1595, quando venne aperta a Pisa una nuova officina dove si coniavano monete d’argento con titolo di fino inferiore a quello dei nominali coniati a Firenze. Una volta chiusa la zecca in questa città, la scritta PISIS continuò ad essere presente sulle monete battute dalla zecca fiorentina perché essa stava ad indicare le monete coniate con titolo di fino inferiore. Il nominale rimase in uso fino al 1859 quando tutta la monetazione del Granducato venne convertita alla lira. Il suo valore corrispondeva a 6,666, lire toscane.

[8] MARCHI 1983 BARUCCHIELLO

[9] VOLPI 1997, pp.51-55.

[10] Sulla creazione della cassa di sconto di Livorno cfr. BALDASSERONI, 1950.

[11] Per la lista dei sottoscrittori cfr. VOLPI 1997, p.57.

[12] L’istituto contribuì al finanziamento della società per la costruzione delle strade ferrate in Italia. Il decreto di Garibaldi (n. 213) del 25 settembre 1860 dava alla società Pietro Augusto Adami e Adriano Lemmi di Livorno la concessione per la costruzione della rete ferroviaria a Napoli e in Sicilia. Fu propri questo tipo di investimenti che ne causò il fallimento alla fine degli anni sessanta del XIX secolo. Sulla banca Adami cfr. Gasparri 1995, p. 176; Botarelli 1994; Vanni 2007, p. 19 e p. 85; Crapanzano 2010, pp.248-250.

[13] Gamberini di Scarfea 1967, vol. I, tomo II, p. 410.

[14] LANDUCCI 1841; SERRISTORI 1856;

[15] VOLPI 1997, p.86.

[16] Archivio Ridolfi Meleto, Carte Ridolfi filza 9, ins. 22; Ridolfi, Vieusseux, 1996, p. 51.

[17] Per i vertici dell’Istituto cfr. Statuto della Banca Pisana approvato colle sovrane risoluzioni del 19 luglio 1846, 9 gennaio e 5 febbraio 1847, Pisa 1847.

[18] Cfr. a tale proposito lo Statuto e regolamento interno della Banca Aretina, Arezzo, 1846 e MANTELLINI 1860, p.27

[19]  LISI 2001, p. 75.

[20] Archivio Ridolfi Meleto, Carte Ridolfi, filza 14, ins. E.

[21]  Per le operazioni della banca aretina cfr. SERRISTORI 1856, p. 202.

[22] VOLPI 1997, p. 95.

[23] Sul tentativo di creare a Lucca una banca di tato cfr. VANNI 2019 (in corso di stampa).

[24] Nel 1848 il giornale Il Monitore Toscano segnalava il progetto della creazione di una Banca di Sconto a Lucca, 15 dicembre 1848, n. 37.

[25] Lo statuto e i depositi di questa casa bancaria si vedono MANTELLINI 1860, pagg. 33- 36; VOLPI 1997, pagg. 112-119.

[26] Per la storia di questa banca cfr. VANNI 2007, pp.19-20 con relativa bibliografia.

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