(di Stefano Poddi) La narrazione  della vita di Adolf Burger è una storia esemplare, vissuta nei  campi di concentramento e di sterminio, picchiato di più e con più veemenza dagli aguzzini nazisti in quanto il suo nome era Adolf, come Adolf Hitler, usato come cavia per esperimenti, poi come risorsa per la  guerra economica contro la Gran Bretagna, sfruttando le sue competenze tipografiche, in cambio di una qualità di vita di poco migliore di quella degli altri internati; quel poco che può garantire la sopravvivenza in un campo di sterminio, sopportando tutto perché la sua vita era illuminata da una  piccola luce in fondo al tunnel, ovvero la speranza di riuscire a sopravvivere a tutto questo.
Adolf Burger è riuscito a scampare all’inferno sulla terra dei campi di segregazione e di annientamento nazisti, e a trasmettere, tramite la sua viva ed intensa attività di documentata testimonianza, quanto di orribile era accaduto, in contrasto con le tesi sostenute dai negazionisti, risibili ma non per questo meno pericolose.
Il 6 dicembre 2016 Adolf Burger è deceduto a 99 anni, un uomo che dopo essere stato prigioniero e aver sofferto nei lager nazisti da Auschwitz a Ebensee, ha impegnato gran parte della sua vita per combattere contro il negazionismo del sistematico massacro operato dei nazisti nei confronti degli ebrei, durante la  II Guerra Mondiale.
Dopo averlo intervistato nel 2007, tornato in albergo, scrissi un resoconto a caldo, quasi a voler placare il turbine di emozioni che mi sopraffaceva, dopo aver incontrato un uomo così speciale, con la voglia di mettere tutto nero su bianco, prima che potesse svanire.
Sono le ore 9:08 del 30 ottobre 2007 e siamo a Sporilov, un quartiere di Praga, fatto di grandi palazzi anonimi ma anche di case con annesso giardinetto, in una di queste abita Adolf Burger… (Segue)

 

Questo articolo verrà pubblicato interamente su”AIC Magazine” Anno IV, N.7, di prossima pubblicazione.

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